La Parola

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. 
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi. [Mt 13,54-58]

Dalle riflessioni di Papa Francesco

Oggi, primo maggio, celebriamo san Giuseppe lavoratore e iniziamo il mese dedicato alla Madonna. Ci soffermiamo su queste due figure così importanti nella vita di Gesù, della Chiesa e nella nostra vita, con due brevi pensieri: il primo sul lavoro, il secondo sulla contemplazione di Gesù. Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro ci “unge” di dignità … Impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni di vita.

Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con tristezza al futuro;
Mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte.

Accenno al secondo pensiero: nel silenzio dell’agire quotidiano, San Giuseppe, insieme a Maria, hanno un solo centro comune di attenzione: Gesù. Per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo e a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera. Ricordiamoci di più del Signore nelle nostre giornate! Sarebbe bello se, soprattutto in questo mese di maggio, si recitasse assieme in famiglia, con gli amici, il Santo Rosario o qualche preghiera a Gesù e alla Vergine Maria!

In ascolto di Don Tonino Bello

Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: «Maria, ti amo». Lei gli rispose, veloce come un brivido: «Anch’io». E nell’iride degli occhi le sfavillarono, riflesse, tutte le stelle del firmamento.
Le compagne, che sui prati sfogliavano con lei petali di fiori colorati, non riuscivano a spiegarsi come facesse a conciliare il suo amore per Dio con l’amore per una creatura umana, per Giuseppe. Il sabato la vedevano assorta nell’esperienza sovrumana dell’estasi, quando, nei cori della sinagoga, cantava: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco: di te ha sete l’anima mia come terra deserta, arida, senz’acqua». Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi a vicenda le loro pene d’amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato, con le cadenze del Cantico dei Cantici: «Il mio diletto è riconoscibile tra mille… I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua… Il suo aspetto è come quello del Libano, magnifico tra i cedri…».
Per loro, questa forte passione verso entrambi era un’impresa disperata, poco comprensibile. Per Maria, invece, era come mettere insieme i due emistichi d’un versetto dei salmi, in cui un emistichio, una strofa, è letta da un coro, poi si alterna l’altro e in due si diventa un unico popolo, un’unica preghiera, un unico atto di amore.
Per loro, l’amore umano che sperimentavano era come l’acqua di una cisterna: limpidissima, sì, ma con tanti detriti sul fondo. Bastava un nonnulla perché il fango in basso si rimescolasse e le acque divenissero torbide. Per lei, no. Non potevano mai capire, le ragazze di Nazaret, che l’amore di Maria non aveva fango, né pietre, né sabbia, perché il suo era un pozzo senza fondo.