La figura di San Francesco d’Assisi ha affascinato, già lui vivente e poi nel corso dei secoli, centinaia di migliaia di persone, di ogni genere, ordine e grado. E tra di esse non potevano certo mancare i poeti. In questa rubrica desideriamo riproporre all’attenzione dei lettori una serie di componimenti da essi dedicati al “Poverello d’Assisi” nel corso dei secoli.
Non cominceremo però con l’immortale canto XI del Paradiso di Dante Alighieri, in cui il Sommo Poeta fa tessere dal domenicano San Tommaso d’Aquino l’elogio di S. Francesco, fondatore dell’Ordine dei Frati Minori, appunto l’ordine francescano. Dovrebbe essere infatti abbastanza noto, trattandosi di una lettura canonica in tutti i licei. Andremo invece alla ricerca di poesie di altri autori, non badando neppure al loro ineguale valore.

   Iniziamo la serie con un nome che potrebbe sorprendere, visto il personaggio; il quale fu e godette fama di laico, anticlericale e vero e proprio mangiapreti: l’un tempo osannato Giosue Carducci (1835-1907).
  Nell’estate del 1877 il professor Carducci visitò Assisi, si riempì la vista del paesaggio umbro e respirò “aria francescana” . “Vorrei bussare – scrisse in una lettera – alla porta del convento di Assisi; e al fraticello che mi aprisse domandandomi cosa volessi, rispondere, come Dante, pace”.
    Alla Porziuncola, allo spettacolo della “cupola bella del Vignola”, il cuore gli si aprì alla poesia. E ne nacque un sonetto.
     “Al Vignola (Jacopo Barozzi, m. nel 1573) si attribuiva la chiesa rinascimentale eretta a contenere, quasi un gioiello nello scrigno, la Porziuncola: la chiesetta di S. Maria degli Angeli. Accanto a questa, in capanne, stavano il santo e i suoi seguaci; e in una capanna, facendosi spogliare nudo e deporre sulla nuda terra, in segno di povertà”, Francesco morì, la sera del 3 ottobre 1226 (A. Vicinelli). Dopo aver aggiunto al suo Cantico delle creature, le Laudes creaturarum –  come ricordano le Fonti Francescane – l’ultima lode, quella “per nostra corporal sorella morte”.
    Questi ricordi e le varie sensazioni provate di fronte allo spettacolo di Assisi e delle terre dell’Umbria, vengono rievocati dal poeta nei quattordici endecasillabi del seguente sonetto.
 (Da Rime nuove, 1887; ABAB, ABAB, CDE, CDE). 

 Santa Maria degli Angeli

 
Frate Francesco, quanto d’aere abbraccia
questa cupola bella del Vignola,
dove incrociando a l’agonia le braccia
nudo giacesti su la terra sola!
 
E luglio ferve e il canto d’amor vola
nel pian laborioso. Oh che una traccia
diami il canto umbro de la tua parola,
l’umbro cielo mi dia de la tua faccia!
 
Su l’orizzonte del montan paese,
nel mite solitario alto splendore,
qual del tuo paradiso in su le porte,
 
ti vegga io dritto con le braccia tese
cantando a Dio – Laudato sia, Signore,
per nostra corporal sorella morte!
 

GIOSUE CARDUCCI (1835-1907)