predica agli uccelli

di Giulio Salvadori (Fioretti, XVI)

 

 Il terzo fioretto in versi che stiamo per leggere si deve al critico e poeta Giulio Salvadori, nato a Monte San Savino (Arezzo) nel 1862  e spentosi a Roma nel 1928.

   E su di lui, su un periodico francescano, vanno ricordate ed evidenziate almeno due o tre cose.
   Inizialmente, nella sua attività di poeta, il Salvadori si lasciò trascinare dalle suggestioni dell’arte carducciana (fu discepolo di Carducci e amico di D’Annunzio e Scarfoglio), ma in seguito, superando le tentazioni dell’arte giovanile, avvertì il profondo conforto che la fede cristiana riuscì a dargli. Infatti, professore nella scuola secondaria ad Ascoli Piceno, nel 1885 si convertì al cattolicesimo e successivamente divenne terziario francescano.

Francesco, andando con la compagnia,
   alberi vide ai lati della via,

Ed una moltitudine di uccelli,
   che piegavan col peso i ramoscelli.

Ed ei si volse tanto lieto in viso
    che gli ridea negli occhi il Paradiso.

“Fratelli miei, voi grati esser dovete
   a chi vi fece creature liete:

E sempre voi dovete lui lodare
   perché v’ha fatti liberi a volare,

E v’ha dato di piume il vestimento,
   sì che non vi fa danno acqua né vento.

E voi non seminate, e pur mangiate
   e dell’acqua del ciel v’abbeverate;

Lume v’ha dato a fabbricarvi il nido,
   e delle vie del cielo istinto fido:

Tanto, uccelli, v’amò l’alto Signore:
   or voi rendete a Lui col canto onore”.

Mentre Francesco così stava a dire,
   ei battean l’ali quasi a plaudire.

E abbassavan le brune testoline
   e allegrezza mostravan senza fine.

E San Francesco ancor si rallegrava
   maravigliando, poi che lo mirava

L’alata moltitudine ascoltando,
   come la folla fa, che ascolta un bando.

Poi fece il segno lor di santa croce,
   dicendo: “Andate!” E a quella dolce voce,

In aria si levarono festanti
   e si sentian meravigliosi canti.

Poi, secondo la croce, obbedienti,
   se n’andaron partiti ai quattro venti,

E in tutte le sue parti il ciel sereno
   fu dei lor canti armoniosi pieno.

                     Giulio Salvadori (1862-1928)

Nel 1900 ottenne la cattedra di stilistica all’Università di Roma e dal 1923 insegnò letteratura italiana alla Università Cattolica di Milano. Una viva e fervida religiosità ispira in special modo le sue raccolte di liriche Canzoniere civile (1889) e Ricordi dell’umile Italia (1918), in cui traspare chiaramente una candida purezza di sentimenti. Scrisse anche un volume su S. Francesco: Ricordi di S. Francesco d’Assisi (1927). Nel 1957 è stato avviato il processo di beatificazione.
   Ho ritrovato questo fioretto messo in versi dal Salvadori in una antologia per le scuole medie, che lo introduce con questo giudizio: “Fra gli episodi di gentilezza e di amore, dei quali è intessuta la vita del Santo di Assisi, quello della predica agli uccelli è uno dei più noti; nella ingenua narrazione dei Fioretti si presenta soffuso di sì candida purezza da sembrare che sia stato messo su proprio per ispirare i poeti. E il Salvadori, accogliendo nel suo fervore religioso l’ispirazione dell’antico racconto, ha rivissuto con candore – potremmo dire – francescano, il singolare momento nel quale è espresso con limpida chiarezza il sereno amore di S. Francesco verso quelle gentili creature che sono gli uccelli”.
   E qui val la pena di ricordare che, mentre Francesco moriva a questa vita, “le allodole, che sono amiche della luce e temono il buio della notte, vennero a roteare sul tetto dell’infermeria nonostante che ormai fosse crepuscolo inoltrato, rendendo testimonianza di gioia al santo che un giorno aveva invitato gli uccelli a lodare il Signore” (Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, Milano 1993, p. 396).
   Il fioretto della predica agli uccelli si trova nella parte seconda e conclusiva del capitolo XVI dei Fioretti: “Come Santo Francesco, ricevuto il consiglio di santa Chiara e del santo frate Silvestro, che dovesse predicando convertire molta gente, e’ fece il terzo Ordine e predicò agli uccelli e fece stare quete le rondini”. (Fonti Francescane, vol. I, Assisi 1977, 1489-1490).   
   L’episodio, di cui i lettori sicuramente avranno visto qualche illustrazione o rappresentazione artistica, fu reso dal nostro poeta in 34 endecasillabi piani, con un linguaggio semplice e lieve che si comprende senza bisogno di aiuto alcuno.
   Metrica: 17 distici di endecasillabi a rima baciata: AA,BB,CC… ed è tratto dalla raccolta Canti sparsi della rinascita (Ed. Vita e Pensiero).